1.2.4. Presentazione


L'evoluzione rapida e convulsa della nostra società, la caduta di usanze e tradizioni, l'abbandono sempre più
diffuso delle parlate locali costituiscono una grave perdita del patrimonio culturale del nostro passato.

Non mancano fortunatamente delle azioni tendenti al recupero di quanto può ancora essere salvato. Queste lodevoli iniziative si evidenziano e si concretizzano nell'allestimento di musei etnografici e di mostre di "cose antiche", nella larga diffusione di scritti di carattere storico locale e nella promozione di convegni sui beni e sui valori culturali delle nostre valli.

In questo contesto vorrebbe inserirsi anche questo mio lavoro.

Nel campo specifico delle parlate locali finora in provincia le pubblicazioni sono piuttosto scarse; possiamo ricordare il pregevole lavoro di Sandro Massera Vocabolario del dialetto di Novate Mezzola, edito nel 1985 per merito del Centro Studi Valchiavennaschi (che mi è servito da guida); ricordiamo ancora il volumetto di Laura Valsecchi Pontiggia Saggio di vocabolario valtellinese, edito dalla Banca Popolare di Sondrio nel 1960; citiamo anche i brevi saggi apparsi su pubblicazioni locali (Castione, Sondalo). Più antiche e note sono le opere di Pietro Monti e di Glicerio Longa. Possiamo avvicinare a questo genere di lavori anche gli opuscoli (una quindicina finora) riguardanti i toponimi dei nostri paesi, pubblicati a partire dal 1975 dalla Società Storica Valtellinese e dal Centro Studi Valchiavennaschi, promossi e coordinati dal compianto dottor Giovanni De Simoni, un milanese grande conoscitore e amante della Valtellina.

I dialetti dei nostri paesi vanno sempre più "inquinandosi" di termini italiani dialettizzati, di termini tecnici di derivazioni varie, assorbiti dalla stampa, dai luoghi di lavoro, dalla vita sportiva politica e sindacale e da altre fonti. Pensiamo ai vocaboli relativi alle attività sportive: corner, gol, slalom, cross, sprint, game, formula uno ed altre voci esotiche hanno invaso le parlate dei nostri paesi e si mescolano con ciapèl, peltréra, melǜsc, sigürèl, fòrbes de pudà, fén, pastǜra, ecc.

Inoltre si va notando un fenomeno particolare, spiegabilissimo pensando ai cambiamenti avvenuti nella vita quotidiana, ai contatti sempre più frequenti tra gente di paesi diversi, grazie alla diffusione dei mezzi di trasporto personali; crediamo di notare cioè una tendenza all'appiattimento, all'uniformità dei dialetti dei vari luoghi. Il giovane di Castionetto, di Montagna, di Tresivio o di Ardenno, che incontra a Sondrio un amico o un conoscente, accantona la sua parlata quotidiana del paese e si adegua ad un dialetto artificioso, uniforme, quasi cittadino, come se si vergognasse ad esprimersi con quelle peculiari forme che caratterizzano i vari dialetti; non dirà el ciö́f, i culsé..., ma dirà el piö́f, i scàrpi.

Vi è poi la tendenza, in sé lodevole, di estendere l'uso della lingua italiana: l'obbligo scolastico più ampio, il forte aumento dei giovani che frequentano le scuole medie superiori e le università, alle quali accedono anche tantissimi giovani delle nostre valli, e poi la diffusione dei moderni mezzi di comunicazione, come la stampa, la radio, la televisione allargano sempre più l'uso dell'italiano. Ma con quali risultati? Tutti i giovani genitori vogliono che i loro figli in casa parlino l'italiano (così sono più bravi a scuola - dicono), ma quale lingua parlano? Alcuni anni fa, all'uscita di una scuola elementare, sentii una mamma che, chiamando la figlia, le disse: "Dammi scià a me la cartella che tu devi andare là dalla zia a dirgli...". Queste espressioni, veri insulti alla grammatica, non giovano certo all'apprendimento corretto e preciso della nostra parlata nazionale, né alla conservazione dell'idioma dialettale che viene snaturato e calpestato. Il concetto poi che il parlare italiano favorisca un miglior rendimento scolastico è una pura favola. La mia esperienza professionale di insegnante elementare mi dimostra il contrario. Non riesco a trattenermi di riferire infine un fatterello personale. Il primo giorno di ottobre del 1931 è stato per me il primo giorno di scuola. Ricordo di essere tornato a casa glorioso e trionfante a dire a mia madre: "Màma, te 'l sé che la sacòcia la se ciàma cartella e 'làpes el se ciàma matita?". Queste sono state le due prime parole italiane che ho imparato io.

 

L'idea di accingermi a questo lavoro è venuta in me gradualmente.

Durante i miei anni di insegnamento mi sono convinto che una buona conoscenza del dialetto locale è un validissimo aiuto nelle attività didattiche in generale nella scuola ed è particolarmente efficace nell'avviare la scolaresca ad un apprendimento sicuro e corretto della nostra lingua. Le stesse spiegazioni che a volte potevano richiedere lunghi giri di parole per individuare un oggetto erano superate dal ricorso al termine dialettale corrispondente. Acquisito così il significato del termine, il discorso poteva continuare per l'osservazione e la scoperta di tutti gli aspetti particolari dell'oggetto in esame. Nelle attività di ricerca affidate all'iniziativa degli scolari, nelle interviste a persone anziane del paese su usi e costumi del passato, e in altre circostanze, affioravano a volte delle espressioni dialettali così incisive e calzanti che aprivano subito la mente del bambino alla comprensione.

Una spinta decisiva per affrontare questa fatica, perché effettivamente è un lavoro che comporta notevoli difficoltà, mi si è offerta nel mio impegno di riempire le pagine de Il Giornalino. Dopo le prime puntate ho avuto sentore che i lettori, e non solo quelli del nostro paese, gradivano questa iniziativa.

Ma forse il motivo più profondo che spiega questi miei interessi, che si rivelano del resto anche in tutti i miei scritti, è la passione e la tendenza quasi inconscia in me di guardare al passato, di tornare con il pensiero agli anni della fanciullezza e della gioventù, di rievocare le vicende, gli usi, le tradizioni della povera vita de sti agn, che io rivedo avvolta in roseo velo di nostalgia. E in questa prospettiva questa mia fatica è anche un omaggio ai miei genitori dai quali ho appreso, come da una fonte fresca e genuina, le prime voci, le prime parole, il primo modo di esprimermi.

Se questo mio lavoro desterà qualche interesse, se i lettori troveranno un po' di soddisfazione tra queste pagine, se gli anziani o i vecchi in particolare rivivranno per un momento uno scorcio del loro passato, della loro giovinezza e apprezzeranno le mie rievocazioni, io mi riterrò pienamente appagato.