1.2.3. Premessa

 

Nell'accingermi a questo lavoro mi si è posto subito l'interrogativo: a quale parlata devo riferirmi? La scelta è stata pronta: la mia ricerca è rivolta per lo più al passato, a quella parlata che è stata per secoli l'espressione più viva dell'identità culturale dei nostri paesi, anche per fissare sulla carta quei termini che ormai sono caduti in disuso, perché sono cambiate le situazioni ambientali, le condizioni economiche e di lavoro. Fino a pochi decenni orsono, fino agli anni immediatamente successivi all'ultima guerra, le attività economiche dei nostri paesi erano basate sull'agricoltura e sull'allevamento del bestiame, peculiari della società del passato. È a questo mondo che è legato l'idioma di generazioni di antenati. E a quel linguaggio io mi attengo, e indugio nella rievocazione e nel ricordo, non per retorica compiacenza e simpatia verso un mondo da cui provengo, ma per salvaguardare, come accennavo all'inizio, un aspetto della nostra vita trascorsa.

Partendo da queste considerazioni è evidente che le nomenclature più ricche sono quelle che si riferiscono alla stalla, al bosco, al campo, al prato. Chi andrà ricordando tra qualche decennio parole come priàla, fiél, rans, furmentùn, mulinèl, campàsc, scàla del car e tanti altri vocaboli che le situazioni della vita moderna non richiamano più all'uso?

È doveroso che io porga i miei più vivi ringraziamenti a tutti coloro che mi hanno aiutato in questo lavoro, con suggerimenti, precisazioni e consigli. Ringrazio in particolare i signori Luigi Incondi di Castionetto, Antonio Pedrucci e Giuseppe Faccinelli di Chiuro.

Una menzione particolare merita mia moglie, Armida Bombardieri, che mi ha assistito in tutto il lavoro e che con il suo vigile e critico contributo ha certo impedito che cadessi in imperfezioni, lacune, omissioni più numerose di quante un lettore attento potrà rilevare; lacune e limiti di cui chiedo scusa a tutti coloro che consulteranno questo vocabolario.

 

Sondrio, 1990