1.2.2. Dialetto e lingua nazionale: una considerazione

 

Si sente dire, si legge ed è confermato da sondaggi che vengono periodicamente effettuati da istituti specializzati che il dialetto sta declinando, o addirittura sta morendo. Queste affermazioni sono senz'altro vere ed anche i nostri paesi non sfuggono a questa regola.

Vi sono poi sondaggi che si spingono oltre e spiegano quali sono le zone dove il dialetto resiste di più e quali ceti sociali e quali fasce d'età mantengono le genuine parlate dialettali. La Lombardia e la nostra provincia sono tra quelle zone dove il dialetto è più abbandonato.

Il discorso è interessante e ampio ma non rientra nei nostri intenti ed è superiore alle nostre capacità. Rileviamo soltanto che la tenuta del dialetto è comprensibilmente estesa tra i cittadini della media e terza età.

Gli stimoli ad accantonare il dialetto ed accettare la lingua italiana sono numerosi: l'ampia scolarità obbligatoria, la stampa, la televisione, i più intensi rapporti sociali, l'emigrazione... Il rilievo non è comunque negativo se alla base di questo fenomeno si trovasse una maggiore apertura sociale, una cultura più profonda e specialmente se si parlasse una lingua italiana non così malandata e non tanto "inquinata" da forestierismi e specie anglicismi. Ad ogni modo accanto alla parlata nazionale può trovar posto ancora il linguaggio popolare tanto genuino e tanto incisivo. Certe espressioni dialettali, certi modi di dire radicati nella lingua del popolo non trovano adeguata traduzione nell'idioma italiano e non hanno in ogni caso quell'immediatezza, quella vivacità della parlata popolare.

A tenere alta la bandiera del dialetto sono sempre gli anziani. Una bella e genuina parlata dialettale oggi la si può ascoltare anche da alcuni emigranti quando ritornano temporaneamnete al paese natio, dopo qualche decennio di permanenza all’estero. Essi si esprimono con naturalezza e senza esitazione, con terminolgie e cadenze di trenta o quarant’anni fa, quando il dialetto aveva ancora la caratteristica di parlata chiusa, propria di una comunità. I giovani quasi si vergognano; a Castionetto si tende ad abbandonare il cia a favore del più italiano pia ed anche a Chiuro i vecchi dicono senza esitazione chilò e igliò, ma i giovano preferiscono dire chi e . Perché?

È il caso allora di leggere la bella definizione di Tino Fiammetta comparsa su Il Giorno l’8 giugno 1988: "Il dialetto ha il fascino di un sentiero di campagna che si inerpica sui dossi, asseconda i ruscelli e le sinuosità della natura e improvvisando ogni momento il suo corso avvicina luoghi inaccessibili". E poi continua: "E la lingua? È come una autostrada costruita 'dopo', utile, funzionale, veloce, comunicativa e senza sorprese che serve per raggiungere due città lontane della penisola. Chi ha detto che ambedue non possono coesistere? Ecco, fra lingua e dialetto è esattamente la stessa cosa".