1.2.1. Analogie e differenze tra i dialetti di Chiuro e di Castionetto

 

I dialetti valtellinesi hanno analogia con le parlate lombarde del centro-nord (Milano, Como e Varese); alcuni del versante orobico hanno pure subito nei secoli qualche influenza del centro-est lombardo (Bergamo e Brescia). Nell'alta valle inoltre il linguaggio popolare risente di infiltrazioni della lingua tedesca e ancor più della parlata ladina. Nel complesso si può rilevare che i centri di fondovalle hanno dialetti che tendono ad imitarsi ed hanno maggior somiglianza con il dialetto lecchese, milanese e comasco. La ragione è evidente. La strada principale che attraversava la valle, la storica Valeriana, collegava tra loro i nostri paesi del piano, dove era più sviluppato il commercio e l'artigianato, e i dialetti subivano l'influenza dei rapporti economici e commerciali con le terre del lago ed ancor più con Milano, il grande centro della regione. Nei paesi di mezza costa, sia sul versante retico che su quello orobico, i dialetti subivano minori spinte esterne, non venivano “inquinati” da parlate forestiere e mantenevano pertanto le loro peculiari caratteristiche. Anche tra i paesi dello stesso versante e alla stessa latitudine non erano frequenti le commistioni poiché ogni comunità viveva per lo più di vita autonoma e le comunicazioni erano limitate. Così si spiega ad esempio la notevole differenza di linguaggio tra i paesi di Montagna, Poggi, Tresivio e Ponte e ancor più marcata la differenza tra il dialetto di Castionetto e quello delle contrade di Teglio, al di là del torrente Rogna. Maggior somiglianza invece si nota tra Castionetto e Ponte, perché intensi erano i contatti, anche se tra i due paesi c'è di mezzo il grande avvallamento del Valfontana. Il fatto si spiega pensando che i Castioni (più che i Chiuraschi) avevano molti rapporti con i Pontaschi in Val Fontana. Limitando queste mie considerazioni all'ambito del territorio comunale, sarebbe necessario anche un accenno all'altra notevole contrada, Casacce, ma per motivi sopra esposti (paesi di fondovalle) e per il fatto che la frazione è relativamente giovane, la consideriamo un centro solo con il capoluogo anche se la composizione piuttosto eterogenea di questo abitato e le massicce immigrazioni degli ultimi decenni meriterebbero uno studio particolare, anche sotto l'aspetto linguistico-dialettale. La vecchia parlata di Casacce era praticamente uguale a quella di Chiuro, salvo qualche diversità di cadenza e qualche differenza di accentazione fonica dei vocaboli.

Sulla base di queste considerazioni si spiegano le consistenti differenze foniche tra il dialetto di Chiuro e quello di Castionetto.

Questo secondo centro abitato aveva, per la chiara ragione che era frazione di Chiuro, parecchi rapporti con il capoluogo, ma per quanto riguarda il dialetto ha sempre mantenuto una sua peculiare identità, per l'intensità della vita comunitaria e sociale degli abitanti della frazione o forse per un inconscio senso campanilistico.

Certamente l'origine dei due dialetti è identica: tutti e due possono appartenere al gruppo della parlate lombarde nordoccidentali, recepite e fatte proprie dai due centri abitati nel contesto della loro vita comunitaria.

Un rilievo che riteniamo opportuno evidenziare e che è comune del resto a tutti i paesi della Valtellina è il fatto che il linguaggio riflette l'ambiente contadino del passato ed è piuttosto ricco nelle nomenclature relative alla vita dei campi, del bosco e della stalla mentre si rivela carente e più 'italianizzato' nei termini di natura tecnica.

La diversità di vocaboli tra i due dialetti non è ampia; pochi termini sono completamente diversi e sembrano non avere tra loro alcuna affinità. Ricordiamo, ad esempio, che la talpa a Chiuro è chiamato tupìn e a Castionetto trapiné, il maggiolino a Chiuro cucùsa e a Castionetto quàza, la cartella di scuola a Chiuro bùrsa e a Castionetto sacòcia; inoltre a Chiuro accanto ai termini genuinamente dialettali, come panèt, làpis (o làpes) venivano usati anche nel passato le voci più 'italiane' di fazulèt e matìta.

Le differenze maggiori tra le due parlate sono negli accenti fonici: pronuncia aperta o chiusa delle vocali "e" e "o".

In genere nel dialetto di Chiuro si pronuncia la "e" aperta (accento grave: è) e nella frazione la "e" chiusa (accento acuto: é). Questo rilievo è evidente in particolare nelle parole tronche terminanti con la consonante "t". A Castionetto si dice bachét, panét, sachét, furchét, ruchét, runchét; invece a Chiuro si pronuncia bachèt, panèt, sachèt, furchèt, ruchèt, runchèt; inoltre furchéta, cupéta, crés, büséca, cavéz, cuérc a Castionetto; a Chiuro furchèta, cupèta, crès, büsèca, cavèz, cuèrc.

Quando però la "e" si trova in una parola tronca che termina per "l" mantiene anche nel dialetto di Castionetto la "e" aperta. Esempi: sedèl, martèl, Puntesèl, carèl, aradèl, capitèl. Eccezione a Castionetto e a Chiuro mél, il miele. La "e" mantiene ancora la pronuncia aperta nei due dialetti anche in qualche parola che non termina per "l": bèch, cèrech, dèbet, adès, basèrga e altre.

Vi sono poi molti vocaboli nei quali la "e" viene pronunciata con suono chiuso sia nel capoluogo che nella frazione, specialmente in quelle parole tronche che non hanno più nessuna lettera dopo la "e" stessa e in qualche altra: vedé, mesté, 'ndré, parulé, senté, materasé, ciapelé, andeghé, ecc.; e in batésum, béga, brénta, véc, caréc, castégna, culdéra, duméga, bacanéri, negréra, cadréga, apéna, cadéna e altre.

Abbiamo cercato così di fissare alcune regole per quanto riguarda l'accento fonico sulla "e", ma naturalmente vi sono delle eccezioni; ad esempio la parola s'cèt è pronunciata con l'accento grave nei due dialetti e il pronome o aggettivo dimostrativo quel segue la regola della "t"; a Chiuro si pronuncia quèl e a Castionetto quél.

Un altro rilievo: nel diminutivo di tanti nomi nel dialetto di Chiuro rimane la solita "e" aperta mentre nel dialetto di Castionetto la "e" si cambia in "i": s'cetìn a Chiuro, s'citìn a Castionetto, e così mumentìn - mumintìn, panetìn - panitìn, bachetìn - bachitìn, cursetìn - cursitìn, furbesìna - furbisìna; lo stesso avviene per medesìna a Chiuro e midisìna a Castionetto, anche se non è un diminutivo.

Come la vocale "e" anche la "o" cambia spesso l'accento fonico nei due dialetti. In generale si può dire che nel dialetto del capoluogo abbiamo per lo più la "o" aperta come in “orto”, mentre a Castionetto si ha la "o" chiusa come in “conto”. Così pan pòs a Chiuro, pós a Castionetto; e tròsa - trósa, pòsa - pósa.

Inoltre in  molte parole del dialetto di Chiuro la "o" diventa "u" e a Castionetto mantiene invece il suono di "o" chiusa: bót - but, tór - tur, angósa - angùsa, órs - urs, cióch - ciùch, ciòca ("o" aperta anche a Castionetto) - ciùca. In altre parole la "o" ha la pronuncia aperta nei due dialetti: pancòt, bambòc, biscòt, balòt, fiòsc, fiòscia, ecc.

Uguale pronuncia si rileva invece nelle voci che hanno la "o" francese come föch, löch, böc, tröc: lo stesso avviene per la "u" alla francese: lüs, gabǜs, lǜna, lümàga, ecc.

Altre differenze fra i due dialetti si riscontrano non solo nella pronuncia aperta o chiusa di qualche vocale, ma anche in talune espressioni e nelle radici di certe parole. Pensiamo ai vocaboli che iniziano con la "p" seguita da "i" e altre vocali. Come si è già accennato, il dialetto di Chiuro in molti termini è più 'italianizzato' mentre a Castionetto si mantiene più genuinamente rude e per questa peculiarità rifugge dai termini che sembrano più civili o raffinati. Pertanto a Chiuro si dice: piànta, piǜ, piànsc, piacàs, piö́f, piö́c, mentre a Castionetto si dice ciànta, ciǜ, ciànsc, ciacàs, ciö́f, ciö́c. Questo fenomeno si rileva anche nelle parlate di altri paesi del medio versante retico, come a Castione Andevenno, Montagna, Tresivio, non a Ponte e a Teglio.

C'è ora una tendenza, specie nei giovani, di italianizzare il più possibile il dialetto e allora non è raro oggi sentire anche a Castionetto piànta, piànsc, piàza. Curioso è pure il fatto che anche nell'antica parlata di Castionetto si andava diffondendo la tendenza (oggi è regola fissa) di dire piasé quando è sostantivo: fa 'n piasé e dire invece ciasé quando è verbo: el me ciàs mìga.

Un'altra espressione tipica che caratterizza e differenzia il dialetto di Castionetto rispetto a quello di Chiuro è la negazione ca. Spesso anzi questo modo di esprimere un'azione negativa viene imitato da chi vuol scherzosamente e bonariamente deridere il dialetto di Castionetto, ma spesso in questi casi il forestiero cade in errore mettendo quel ca alla fine della frase: mi só bun ca, mi màngi ca, e così via. Il ca può essere usato nell'azione negativa solo quando non cade alla fine della proposizione. In questi casi bisogna spostare il ca in mezzo alla frase in modo da lasciare dopo almeno una parola e allora si dice: mi só ca bun, mi só ca strach, mi só ca stüf. In altri casi ri ricorre alla negazione miga: mi màngi mìga, mi végni mìga, mi ghe n'ó mìga vö́ia, mi laùri mìga. L'origine di questo ca è evidente: si tratta del mìga (italiano familiare: mica) o del "brica" dell'antico dialetto che diventa, per aferesi, ca. Anche per questa espressione il dialetto di Castionetto si allinea con i dialetti degli altri paesi già citati: Castione Andevenno, Montagna, Poggi e Tresivio.