2.2.1. Sostantivi

 

Nel dialetto di Chiuro e Castionetto, come nella lingua italiana, abbiamo nomi di genere maschile o femminile e di numero singolare o plurale.

I sostantivi maschili al singolare hanno varie terminazioni e normalmente il plurale è uguale al singolare (gùmbet, feré, ganasùn, lampadàri, mànech, banch) tranne nei seguenti casi: 1) i nomi che terminano in ul, al, il, öl (tàvul, pal, badìl, parö́l), il cui plurale termina rispettivamente in ui, ai, ii con trasformazione di l in i (tàvui, pài, badìi, parö́i); 2) i nomi che terminano in èl (sedèl, rastèl, sàndel), il cui plurale termina in éi (sedéi, rastéi, sàndei), con trasformazione di l in i e di è in é; 3) i nomi (rari) che terminano in a o u non accentata (prubléma, lìbru), il cui plurale termina in i anziché in  a o u (prublémi, lìbri).

I sostantivi femminili presentano anch’essi molte terminazioni diverse. Se non sono accentati sull’ultima sillaba (féra, furmìga, gàmba) hanno il plurale che termina in i (féri, furmìghi, gàmbi), mentre se sono tronchi non cambiano al plurale (crus, curnìs, ciàf, ca); quelli in ia (senza accento sulla i: scudéscia, ségia) al plurale perdono la a finale (scudésci, ségi); viceversa nei casi (molto rari) di i accentata (strìa) si segue la regola generale e la a diventa i (strìi).

Fra i nomi non numerabili troviamo (come in italiano) i mesi (giné), i metalli (argént), gli stati (Svìzera), nomi collettivi (patǜsc), molti alimenti (lac), alcune malattie (ràbgia (CA)), diverse erbe (èrba cavalìna), nomi astratti (fìfa).

Fra i nomi difettivi di singolare troviamo oggetti formati da due parti uguali (ugiài), alcune pietanze (rustìt), alcune erbe (scarpèti de la Madòna), nomi che indicano una pluralità di oggetti (vinàsci) o di eventi (estòbi) (CH).

Come in italiano possiamo avere l’alterazione del sostantivo con diminutivi, accrescitivi, vezzeggiativi, dispregiativi. Il suffisso diminutivo più comune è -in, -ina (pécen, pecenìn), ma frequenti sono anche -el, -ela (dòs, dusèl), -esel, -esela (punt, puntesèl), -isin/-esin, -isina/-esina (bót, butisìn a Castionetto, but, butesìn a Chiuro), -et, -eta (ram, ramèt), -al, -ala (rùgia, rugiàl), -öl, -öla (maz, mazö́l), mentre per l’accrescitivo troviamo -un, -una (s’cèt, s’cetùn). Alcuni suffissi possono assumere connotazioni affettive diverse, vezzeggiative o spregiative, a seconda dei singoli casi o del contesto: -ot, -ota (s’cèt, s’cetòt), -usc, -uscia (fèmna, femnǜscia), -at, -ata (gérlu, gerlàt); più nettamente spregiativo -asc, -ascia (bùca, bucàscia; gat, gatàsc). Non mancano casi di cumulo di suffissi (pésc, pesciatìn), raramente anche dello stesso (pit, pitinìn). Si fa notare che più spesso rispetto all’italiano l’alterato diventa maschile mentre il termine di base è femminile e, in questi casi, l’alterazione si fa più evidente (dalla base ‘na fèmna, en femnùn è più usato e più forte rispetto a ‘na femnùna, così come da ‘na padèla si ha en padelìn, da ‘na pesciàda en pesciadùn, da ‘na stràda en stradùn). Dagli esempi sopra esposti si vede come l’alterazione avvenga tramite suffissazione, ma spesso a cambiare è anche la base del termine (dòs, dusèl; còrda, curdìna; parö́l, parulìn; can, cagnàsc;  dit, didìn).

 

Il vocabolario riporta tutti i sostantivi al singolare, individuati dall’indicazione sm. o sf. (l’uso di s. che sta per sostantivo sia maschile che femminile si limita ai casi di uso sostantivato di un aggettivo) e seguiti, fra parentesi, dal plurale solo se diverso dal singolare. 

L’uso sostantivato dei verbi (sempre possibile) è stato EVIDENZIato come lemma a sé solo se non facilmente riconducibile alla forma verbale (es: fa - sm. modo di fare, comportamento: el gh’à ‘n bèl fa = ha un bel modo di fare).

L’uso sostantivato degli aggettivi (sempre possibile) è stato segnalato, quando frequente, o con l’indicazione fra parentesi nella sigla della morfologia (agg. (e s.)), o, se più significativo, con un’esplicita segnalazione (es: paesàn (1: paesàna) - 1. agg. paesano, di paese. 2. sm. compaesano).

L’indicazione della morfologia sm. sing. o sf. sing. rende conto dei sostantivi che hanno quasi solo la forma singolare. Non è stato considerato il fatto che a volte al plurale questi termini assumono il significato di “singoli tipi di…” (es: i lac = vari tipi di latte - intero, scremato, etc.) o altri usi particolari (tüc i giné la va en muntàgna); se tuttavia il significato cambia sensibilmente la variazione è stata segnalata. Ad esempio il lemma fèr si presenta così: fèr - 1. sm. sing. ferro: fil de fér = filo di ferro. 2. sm. ferro da stiro (sin. supràs). 3. sm. ferro da calza ad indicare che nella prima accezione non esiste il plurale, che invece si può formare negli altri casi ed è uguale al singolare (altrimenti sarebbe stato segnalato fra parentesi).

L’indicazione della morfologia sm. pl. o sf. pl. rende conto dei sostantivi che hanno solo la forma plurale (nomi difettivi di singolare) o che al plurale assumono un significato diverso da quello singolare. Non rientrano in questo caso nomi usati per lo più al plurale ma di cui esiste anche una forma al singolare (come molti termini riferiti a cibi: fasö́l, taiadìn…) per i quali si aggiunge un’indicazione in proposito.

Gli alterati sono riportati solo se frequenti; sono separati da || e messi in coda alla articolazione a cui si riferiscono, preceduti dalla indicazione dim., accr., dispr., vezz. e seguiti dal genere sm. o sf., quando diverso da quello del lemma base. Non si ritiene necessaria la traduzione. Nel caso in cui la voce alterata abbia significato differente da piccolo …, grosso … (i cosiddetti alterati lessicalizzati e apparenti) si tratta come lemma autonomo. Qualora esista sia l’uso di vero e proprio termine alterato, sia un significato diverso, si cita nella voce principale, indicando (cfr. xxx), e si riporta anche il nuovo lemma, con rimando “dim. di xxx”, non tanto per indicarne l’etimologia (di cui non ci si occupa in questo lavoro), ma per mettere sull’avviso il lettore che il termine ha anche un altro uso (e significato). Ad esempio: cadréga (cadréghi) - sf. sedia, seggiola || dim. cadreghìn sm. (cfr. cadreghìn); cadreghìn - sm. posto di potere, specie nella pubblica amministrazione (dim. di cadréga). Se, infine, il termine alterato ha lo stesso significato di quello base (mèz, mezìn), si aggiunge la formula “con lo stesso significato” tra parentesi.